Oggi, lettori miei, potrebbe uscirne un articolo serio
perché l’argomento che voglio trattare richiede la massima serietà. Ok, vi do
il tempo di rialzarvi e rimettervi
seduti sulla sedia da cui sarete sicuramente caduti dopo questa mia
affermazione e vi introduco l’argomento di oggi. E’ mia intenzione parlare oggi
del dolore, di come in generale i giapponesi lo affrontino e di come è trattato
nelle pagine di uno degli scrittori più amati dai giapponesi, Haruki Murakami.
Ovviamente il mio sarà un discorso di carattere generale e
per forza di cose superficiale come tutti i discorsi fatti su un intero popolo
senza tener conto degli individui singoli. Quando si fanno generalizzazioni
inevitabilmente si trascurano delle cose ma purtroppo senza generalizzazioni in
questo mondo non si potrebbe parlare di niente perché diventerebbe tutto
estremamente complicato e impossibile da trattare. Fatta questa premessa direi
che è possibile iniziare.
Fondamentalmente i giapponesi di fronte a qualsiasi dolore
cercano, più di molti altri popoli, di mostrarsi forti. Fanno della dignità e
della compostezza virtù imprescindibili. Ciò è determinato dalla loro cultura
sempre tesa a perseguire il bene comune. Ciascuno ha paura col proprio dolore
di affardellare l’altro. Il dolore dell’altro merita rispetto quanto e più del
nostro. Spesso questo atteggiamento potrebbe far pensare (del tutto
erroneamente) che essi siano insensibili o freddi. Niente di più sbagliato. I
giapponesi soffrono come qualsiasi altro popolo. Il dolore è universale e chi
si mostra forte merita più compassione di chi urla a squarciagola e si strappa
i capelli. Questo atteggiamento di fronte al dolore è determinato da una
consapevolezza che da sempre accompagna i giapponesi più di ogni altro popolo:
la coscienza della precarietà dell’esistenza umana, del transitorio (il
cosiddetto “mondo che fluttua”). Quella che gli altri potrebbero concepire come
rassegnazione di fronte al dolore non è altro che la profonda consapevolezza
che niente è eterno, che niente è stabile, che tutto passa. Quante volte in un
film di Ozu (uno dei massimi registi giapponesi su cui la nostra Rosa-chan ha
scritto un mirabile articolo) si è visto chiaramente questo atteggiamento.
Pensiamo ad esempio alla nonnina, in Viaggio
a Tokyo che guarda il nipote e si
chiede se lo vedrà crescere.
La cosa che
personalmente mi ha fatto piangere a fontana è il fatto che di fronte a un
pensiero così triste la nonnina mostra un sorriso coraggioso che vale da solo un intero discorso: "Vorrei essere lì con te quando sarai
cresciuto, vederti innamorato, sposato, realizzato. Ma forse io non ci sarò
più. Ne sono cosciente. E allora dovrai essere felice anche senza di me". E’
una sensibilità quella nipponica fatta di sguardi, sorrisi nascosti, parole non
dette, facilmente fraintendibile. E io ne sono realmente affascinata, dico sul
serio, ma credo, sulla concezione del dolore, di essere nonostante tutto
irrimediabilmente “occidentale”. Tenterò di spiegare il mio punto di vista,
come da me anticipato, attraverso le parole di Haruki Murakami, attualmente il
mio scrittore preferito. Io penso che (fatta eccezione per alcuni contesti e
situazioni) sia fondamentalmente sbagliato voler trattenere le proprie emozioni e mostrarsi forte ad ogni costo. Sia sbagliato
per sé e per gli altri, in particolare per quelli che ci vogliono bene. Sia
sbagliato perché non siamo macchine ma esseri umani fatti di carne e sangue e
perché il mostrarsi sempre forte ci porta inevitabilmente a pretendere lo
stesso atteggiamento dagli altri, a diventare insensibili nei confronti degli
altri. Continuamente tesi a frustrare le nostre emozioni iniziamo a provare
invidia per chi invece le lascia fluire liberamente. E’ quello che succede ad
esempio a una delle protagoniste di “La ragazza dello Sputnik” di Murakami che
dice:
"Il fatto di rafforzarsi in sé non è una cattiva cosa, naturalmente. Ma a pensarci adesso, ero così abituata al fatto di essere forte che non tentavo di capire le persone più deboli. Troppo abituata a essere sana, non cercavo di comprendere i mali degli altri. Quando vedevo persone che, in seguito a certi problemi, entravano in crisi e non riuscivano a reagire, pensavo che non si sforzassero abbastanza. Le persone che si lamentavano spesso, le consideravo semplicemente pigre. In quegli anni la mia visione della vita era solida e pratica ma mancava di apertura e di calore."
"Il fatto di rafforzarsi in sé non è una cattiva cosa, naturalmente. Ma a pensarci adesso, ero così abituata al fatto di essere forte che non tentavo di capire le persone più deboli. Troppo abituata a essere sana, non cercavo di comprendere i mali degli altri. Quando vedevo persone che, in seguito a certi problemi, entravano in crisi e non riuscivano a reagire, pensavo che non si sforzassero abbastanza. Le persone che si lamentavano spesso, le consideravo semplicemente pigre. In quegli anni la mia visione della vita era solida e pratica ma mancava di apertura e di calore."
"Preferivo la mia debolezza. La mia tristezza e la mia capacità di soffrire. La luce dell'estate,l'odore del vento,il verso delle cicale. Sono queste le cose che mi piacciono,non ci posso fare niente".
In definitiva non c’è un modo giusto o sbagliato di affrontare il dolore. E’ qualcosa di così intimo e personale che è impensabile fornire dei modelli di comportamento validi per tutte le persone. Noi tutti dobbiamo trovare il nostro personale equilibrio ricordandoci di rispettare, nei limiti del possibile, il dolore nostro e degli altri. E ora metto fine al vostro “dolore” per aver letto fino alla fine e vi saluto! Alla prossima!
Anto-chan
Un post decisamente stupendo. Non saprei cos'altro aggiungere.
RispondiEliminaHai ragione su tutti i fronti in fine, sia tu che Murakami (che, tra l'altro, da come lo descrivi, mi hai fatta talmente incuriosire che il prima possibile mi ritroverò in libreria a comprare uno dei suoi libri!)Non esiste un modo giusto o sbagliato per affrontare il dolore: ognuno lo affronta con i propri mezzi e le proprie possibilità attraverso le esperienze che l'individuo ha vissuto.
In definitiva, un post assolutamente STUPENDO!