

Qui tutto è kawaii. Dall’etichetta dei funghi freschi venduti al supermercato fino ad Ebisu, uno dei sette Shichifukujin – le divinità della fortuna, mascotte dell’omonima birra.

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Takoyaki |
Tra un takoyaki ed un altro, dall’ora di pranzo in poi, le strade vengono bombardate da ogni direzione, dall’odore pungente del brodo (di carne o di tonno essiccato e alga) dei venditori di soba, ramen e udon. Con una cifra che si aggura dai 500 ai 1.000 Yen (5/10 €) è possibile acquistare una “scodella” di pasta lunga affogati in qualche litro di brodo con l’aggiunta di pesce o carne, alghe e verdure.
Lo “street food” in Giappone è decisamente settoriale e specializzato. È raro trovare un ristorante o una bancarella ambulante che serva dal takoyaki, all’onomiaki (una frittella a base di cavolo cappuccio cotta su una piastra rovente) fino alla soba. Vi sono ristoratori che offrono solo sushi o solo tenpura. Passeggiare per le strade di Osaka infatti, all’ora di cena – e in qualsiasi altro momento, visto che non esiste un’ora di pranzo e un’ora di cena, in Giappone si mangia sempre a qualsiasi ora del giorno e della notte – vuol dire farsi schiacciare dall’infinita possibilità di scelta e farsi cogliere dall’impossibilità di scartare un’ipotesi a favore di un’altra senza ripensamenti. Come se quel pollo sorridente, quel calamaro coi baffi e quel tonno con gli occhi dolci, presenti sulle insegne t’invitassero, con una certa ironia blasfema, a cibarti del loro corpo.
Il Giappone, buddhista, scintoista e un po’ cristiano a seconda delle lune e delle maree, senza una religione precisa, ma dotato di un’incredibile e profonda spiritualità, in cui generalmente non si ruba sia per senso civico, ma anche perché c’è la convinzione che gli oggetti posseggano un parte dell’anima della persona a cui appartengono. Quegli stessi oggetti che, nel Paese del consumismo sfrenato, se vengono buttati, abbandonati o dimenticati quando ancora potevano risultare utili, si possono trasformare in un yōkai, una creatura mitologica che non è né buon né cattiva, ma semmai dispettosa come un bambino a cui non si dedicano le giuste attenzioni.
Perciò ecco che, forse, acquisiscono un senso quelle graziose faccine che decorano gli acini d’uva sulla confezione di caramelle e persino le smorfie delle patate dolci dell’Hokkaido che fanno da farcia dei paninetti dai mille gusti in vendita in qualsiasi kombini (mini-market aperti 24 ore su 24). Lontani anni luce dal cattivo gusto nostrano che ci ha abituato a ridere di un "fu maiale", mutato in porchetta, a cui il rivenditore ha infilato occhiali da sole sul grugno e una sigaretta in bocca, in occasione delle sagre di paese o fuori dallo stadio, qui in Giappone la tendenza ad umanizzare ciò che si mangia potrebbe far sorridere persino l’animalista più oltranzista.
Carmy-chan
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